La fenomenologia social sicuro sarà studiata, e presumo che nell’ambito della psicologia e sociologia il materiale deve essere già ora di sicuro interesse.
I social macinano milioni al minuto con forza lavoro gratuita pressoché infinita, e ce li troviamo pure a “piangere il morto“, o fare le vittime. Di mio ci ho provato, ammetto non nel modo che avrei voluto, piuttosto in modo raffazzonato, ma quello era lo spazio concesso, a fare le cose nel modo giusto.
In sostanza il mio concetto di base è invertire il flusso informativo, cioè lo scopo del post sui social deve avere lo scopo di portare l’utenza da qualche parte, tipicamente il sito aziendale.
Se ci pensate bene è quello che i social stessi fanno, ma quando vi propongono le pubblicità. Incredibilmente questo non deve avvenire sui post. E per quanto poco razionale possa sembrare è proprio quello che succede. Ho sentito attonito dei (sedicenti) social media manager che bisogna fare il post in questo o quel modo, ma senza mai arrivare al punto focale. Cioè quale è il motivo vero dell’attività social a livello aziendale?
Per una persona è sicuramente vero che lo scopo sia quello di guadagnare i follower (i seguaci detto in italiano, che però non suona così figo). Una sorta di ego moderno, e ci può stare, la voglia di essere “famosi” era presente prima di internet.
Nel caso di un’azienda però lo scopo potrebbe, anzi la maggior parte delle volte è proprio così, non interessare il numero di follower ma bensì il ritorno dello sforzo profuso in termini di tempo e risorse. Cioè quanti clienti sono riuscito ad ottenere da questo nuovo tipo di pubblicità?
Questo impegno poi che tempi e longevità di ritorno offre? Qualche anno fa un report fatto da una società di data analisi ha stimato che il tempo medio di visibilità di un post su Facebook era pari a qualche secondo! Se il vostro potenziale cliente è andato alla pausa caffè proprio in quel momento tanti saluti… I successivi poi non venivano neanche mostrati se non in condizioni particolari.
Chiaramente le cose variano in dipendenza della piattaforma che stiamo usando, di sicuro Facebook sta subendo un violentissimo declino anche per questo motivo. Linkedin per fare un confronto diretto è ancora fruibile in questo senso.
In ogni caso, indipendentemente dal nome del social, la gente è istruita e veicolata a fare post per la piattaforma stessa. E lo fanno senza neanche rendersene conto. Il post parla si dell’azienda per cui stiamo curando la comunicazione, ma fine a se stessa. Non c’è nessun tentativo reale di catturare l’attenzione e provare a portare il potenziale utente sul sito aziendale, dove possiamo gestire la comunicazione e le informazioni come meglio crediamo.
Spesso il ritorno dentro il social è quanto mai farlocco. Un “mi piace” non costa nulla, ma una larghissima maggioranza non ha neanche letto o compreso il vostro post. L’altra parte, la minoranza, se l’è dimenticato nel giro di qualche minuto.
Il risultato è che gli utenti il vostro sito manco lo vedranno, quindi non saranno neanche a conoscenza di un potenziale prodotto o servizio, magari alternativo al core business. Un classico esempio che poi magari per vie traverse con qualcuno di questi ci parli “Ah ma fate anche quello?!“. E puoi fare post su post, che appunto come detto sopra la visibilità sulla platea è quella che è. E d’altronde tutto il gioco si basa li.
L’assioma per cui “se paghi diventi primo sul motore di ricerca” di fatto è vero e falso allo stesso tempo. Falso perché in prima posizione, detta “organica” cioè reale, non ci sei mai arrivato. Vero perché nei primi risultati, ma sponsorizzati, ci vanno quelli che hanno pagato.
Più o meno è quello che succede nei social. Se paghi la pubblicità il tempo di visione sulla platea si allarga in modo astronomico rispetto ai pochi secondi di cui sopra.
Arrivati a questo punto uno potrebbe dire, beh faccio solo la pubblicità. Strada che in effetti viene percorsa, tuttavia anche quella viene “obbligata” in un sistema per cui l’utente non può uscire dal social. Quindi potenziali vendite o comunicazioni avvengono dentro un contesto.
E chi protegge l’utente? I vari social di fatto non fanno controlli su chi effettua le ads, potrebbe essere chiunque. Anzi per il gestore del social quello è un cliente. L’utente di fatto può essere indotto a credere che se lo vediamo sulla pagine “sicure” sia sicuro anche il contenuto.
Invertire il flusso informativo è un rischio, specie per il fatto che il click viene intercettato. “Ehi stai lasciando le pagine di questo sito” come a dire, attenzione sei in pericolo. Ma il rischio, per altro economicamente poco rilevante, conviene correrlo.
In particolare ora che i social hanno iniziato la loro fase di declino. Facebook come detto ha visto una desertificazione da parte del pubblico più giovane e quello più avvezzo ad internet. I nuovi social hanno una fruibilità estremamente ridotta, una foto, un video di pochi secondi. Cioè di fatto inutili alla comunicazione aziendale, se non appunto “prodromica” a catturare l’attenzione e cercare di traghettarli come moderni Caronte, dall’altra parte del web. Il vostro sito.
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