Oggi Alfredo Rampi avrebbe 46 anni. Ed invece il 10 giugno 2021 si ricorda l’inizio della tragedia che lo portò alla morte, in diretta nazionale televisiva a 60 metri sotto terra.
Ancora oggi ci sono opinioni discordanti sugli errori e sulla possibilità di salvarlo allora come nei tempi odierni. Penso che il punto da cui partire sia che la sua morte ha in realtà generato delle onde positive. Paradossalmente si può dire che abbia salvato delle vite, certo non la sua, ma quella di altri sventurati si.
Un esempio su tutti è la rifondazione della Protezione Civile, voluta dalla madre di Alfredo e richiesta all’allora Presidente della Repubblica che vide proprio nel 1992 uno statuto per legge che ne dava poteri e struttura. Oggi il nostro ente è una eccellenza mondiale, ovvero la professionalizzazione del volontariato in emergenza. Se pensiamo che moltissimi stati neanche dispongono di una struttura simile.
Davanti ad uno shock sistemico considerevole, come può essere un terremoto, una alluvione, è evidente che le forze professionali ordinarie si trovino per una banale questione numerica non in grado di sostenere l’emergenza. Ecco che il volontariato può essere d’aiuto. Ma questa azione non può essere affidata al caso, buttata li. Deve essere strutturata, formata, edotta e guidata.
Di certo la spettacolarizzazione dell’evento, negativa e pruriginosa ha paradossalmente aiutato quel processo di miglioramento. Se fosse rimasto un trafiletto sul giornale l’effetto mediatico che ha generato un moto di “pietas” e di condivisione del dolore non avrebbe sortito il potere che poi ha avuto la vicenda. Anche e soprattuto come pressione nei confronti della politica.
Insomma noi tutti dovremo qualcosa ad Alfredino. Mi dispiace solo che il luogo della tragedia non sia diventato un parco commemorativo, invece di rimanere così come era allora, un prato sbancato per costruirci le fondamenta di una casa che non è mai stata edificata.
Image by freestocks-photos from Pixabay
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