Sono sicuro che un buona parte di voi che mi leggete avete sentito parlare di Equo Compenso, ma che ERRONEAMENTE credete di conoscere a cosa serva.
Lo dico perché in passato ho avuto a che fare con questa assurda tassa (ma il Ministro non vuole che la si chiami così) e avendone studiato le basi mi sono reso conto dai moltissimi commenti ad articoli sul merito, che la gente avesse una idea totalmente sbagliata sulla questione.
Quello che molti di voi credono è che sia una tassa che vada in compensazione alle perdite sui Diritti d’Autore cagionati dalla pirateria. Niente di più sbagliato!
Anche perché se così fosse, con il dedalo di leggi italiane, si sarebbe legalizzata la pirateria. La questione è decisamente più complessa. Va detto che la politica italiana quando vuole utilizzare la malafede ci riesce benissimo attraverso norme azzeccagarbugli, oppure utilizzando delle parole sibilline.
Equo compenso è sicuramente una di queste, non è una parola formalmente sbagliata al suo vero contesto, ma riesce a fuorviare un discreto numero di persone. In questo caso il “qui pro quo” ha lo scopo di indorare la pillola della tassa, facendola passare come una sorta di palliativo a cui non puoi protestare più di tanto perché comunque sai che il danno esiste.
Ecco a cosa serve realmente. Quando si acquista un vetusto CD Rom o DVD, per non parlare di giradischi o audiocassette di fatto estinte, si acquista il diritto di utilizzarlo. In realtà non è di nostra proprietà perché abbiamo acquistato solo il diritto a riprodurre (e pure questo con dei limiti) i brani di questo o quell’artista, ma per l’appunto non disponiamo i diritti di farci quello che vogliamo, eccetto uno.
Quel diritto è effettuare una copia di Backup. Perché se il mezzo (cd /dvd) si danneggia, e noi abbiamo acquistato il diritto di riproduzione, l’artista o meglio l’etichetta discografica, dovrebbe darci un nuovo supporto per continuare a fruire di quel diritto acquisito. Questo ovviamente non succede, e quindi si è sancito un diritto universale a poter salvaguardare una copia di un bene legittimamente comperato. Qui la questione è anche fumosa, perché poi negli anni è stato persino precluso questo diritto con i sistemi anticopia. Ad esempio se acquistate un brano in uno degli store online, potreste non poterlo esportare per riprodurlo dove vi pare. Teoricamente quindi voi avete il diritto ad avere una seconda copia, certamente non cedibile a terzi, e su questa vige una tassa chiamata Equo Compenso. Un pseudo-compenso agli artisti per le copie che voi potreste fare, come backup di qualcosa che avete comprato. Si tratta ovviamente di un abile stortura politica, tanto che negli altri stati praticamente non esiste salvo qualche eccezione.
So che starete strabuzzando gli occhi. Oggi chi diavolo fa una copia di backup? Si acquista praticamente solo dai vari iTunes e Play Music, o si guardano i film in streaming da Netflix.
L’applicazione di tale tassa avviene su tutti i supporti di memorizzazione, quindi Hard Disk, chiavette e schede di memoria per arrivare agli smartphone e persino su certi televisori. Il suo esborso è scaglionato in base alla dimensione in Gigabyte del bene acquistato. Quindi se acquisto una scheda per la macchina fotografica, dove di certo non ci metto la musica, pagherò l’Equo Compenso. Se acquisto uno Storage aziendale per metterci la contabilità, pagherò l’Equo Compenso.
Recentemente la corte Europea ha sancito che almeno per aziende e liberi professionisti questa cosa sia illegale. Al di la di queste implicazioni, è interessante notare come una parola accuratamente scelta possa de-contestualizzare un argomento in favore di un altro. Se avessero detto invece di Equo Compenso, Tassa sul Backup, immagino che al tempo della promulgazione ci sarebbe stata una ondata di indignazione ben maggiore, ed invece è un Equo Scompenso.
Foto di copertina by Jack Hamilton on Unsplash
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